La coltivazione del timo: cure e particolarità

Nome scientifico: Thymus vulgaris

 

Famiglia: Lamiacee o Labiate

 

Com’è fatto: esistono numerosissime specie (un centinaio spontanee solo in Italia, tra cui il serpillo, a cui vanno aggiunte numerosissime varietà con profumi diversi) difficilmente distinguibili tra di loro, anche per gli esperti botanici, ma dalle medesime proprietà. È un arbusto nano perenne, molto aromatico e riccamente ramificato. Gli steli, ascendenti e lignificati alla base, hanno sezione quadrata. Le foglie, sempreverdi, sono opposte e piccolissime (4-8 mm di lunghezza), a forma lineare-ellittica; sono pelose sulla pagina inferiore e biancastre alla base. I piccoli fiori sono riuniti in spighe di colore bianco, rosa o lilla. Le diverse specie differiscono tra loro per aspetto e forma delle foglie.

 

Dove si coltiva: in tutta Italia indifferentemente in vaso o in piena terra, soprattutto in roccaglia o su muretti a secco; non teme né il gelo né il caldo torrido.

 

Come si coltiva: in vaso di plastica nel Nord Italia e di terracotta nel Centro-Sud, di diametro minimo 20 cm (la crescita è molto lenta, ma tende ad allargarsi in orizzontale). Il terreno deve essere sabbioso e povero, sempre molto ben drenato; può andar bene anche il terriccio per piante grasse. Necessita del pieno sole o una leggera mezz’ombra. Va annaffiato solo dopo l’impianto in piena terra e con regolarità e moderazione ogni estate se vive in vaso. Gradisce (ma non è indispensabile) una concimazione con letame maturo o stallatico secco in autunno. Si moltiplica per seme. Sull’arco alpino durante l’inverno se la posizione non è riparata e soleggiata, è bene pacciamare la base con foglie secche.

 

Come si usa in cucina: sia fresco sia secco (usatene meno perché è molto più intenso), intero o sminuzzato. Qualche fogliolina fresca insaporisce insalate e formaggi, mentre i fiori vivacizzano le tartine con formaggio cremoso, e le insalate estive di riso o di verdure. Essiccato, si unisce a brodi, minestre, zuppe, tortelli e risotti, alle marinate di pesce e di carne, ai ripieni di cacciagione, alle uova, a pane e pizze, e alle verdure, funghi compresi. È preferibile l’aggiunta a fine cottura, per conservarne l’aroma. Secco e tritato si miscela al sale; fresco e intero profuma i liquori.

 

Altri usi: rametti freschi appesi nelle stanze o piantine sui davanzali scacciano mosche e zanzare.

 

Curiosità: nel Rinascimento serviva ad allontanare la peste, perché era uno dei componenti (assieme a rosmarino, salvia, lavanda, aglio, ruta e canfora) dell’aceto dei quattro ladroni, una mistura con cui si disinfettavano coloro che depredavano le case degli appestati e gli stessi cadaveri, risultando, grazie a essa, immuni dal contagio.

 

 

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